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La storia



Cenni storici su Porto Marghera

Origini

Con il toponimo "Marghera" veniva indicata una piccola borgata, composta di poche case, una chiesa e alcuni magazzini, nell’attuale località San Giuliano di Mestre, avente la funzione di luogo di sosta doganale per le merci dirette da e per Venezia, lungo il Canal Salso.

Nel 1805 l’impero asburgico rase al suolo il villaggio ed edificò un grande complesso difensivo mantenendo il nome di Forte Marghera, ancora oggi esistente e nel 1920 fonte di ispirazione per la scelta del quartiere residenziale con annessa zona industriale.

Le origini dell’insediamento industriale risalgono al periodo della prima guerra mondiale e del seguente dopoguerra, quando venne impostato un piano di insediamenti produttivi, metallurgici, chimici e petroliferi, sul margine imbonito della laguna. Il complesso di industrie di trasformazione di base avrebbe utilizzato le materie prime trasportate via nave dall’estero e conferite direttamente al porto lagunare di recente costruzione. Fu la Società Porto Industriale, costituita nel 1920, a sviluppare le infrastrutture per il porto industriale ed il porto commerciale, i raccordi ferroviari e stradali necessari al trasporto di merci e materie prime dirette alle lavorazioni.

Nel 1922 venne completato l’escavo del Canale di Grande Navigazione che allaccia Marghera alla Marittima ed in quel periodo anche l’escavazione del Canale Industriale Nord era quasi completata. Si insediarono inizialmente industrie di base che lavoravano materie prime povere, poi vennero realizzati impianti di distillazione del carbon fossile e produzione di vetro in lastre, produzione di acido solforico, di fertilizzanti fosfatici, di prodotti anticrittogamici, un cantiere navale, una raffineria, una serie di depositi di oli minerali.

Nel 1926 venne attuata una grande riorganizzazione territoriale accorpando al Comune di Venezia i quattro comuni della terraferma su cui sorgeva il complesso industriale.

A partire dagli anni ‘30, si sviluppò l’industria metallurgica e dei materiali non ferrosi (alluminio e sue leghe, zinco) e venne realizzato un grande impianto per la produzione dell’ammoniaca sintetica per concimi azotati (utilizzando il gas di cokeria), a cui si aggiunsero stabilimenti alimentari.

Nel 1935 Marghera disponeva inoltre della più potente centrale termica d’Italia A fianco di queste attività si insediarono in quegli anni svariate produzioni minori (profumi e lenti per occhiali, tessitura feltri e lavorazione del malto per la birra) e imprese di servizi (tra le quali aziende di trasporti).

La ricostruzione del dopoguerra

Gli stabilimenti industriali colpiti durante i bombardamenti aerei, vennero ricostruiti nel secondo dopoguerra. Successivamente venne pianificato l’ampliamento della zona industriale nell’area che oggi viene chiamata Penisola della Chimica. Venne, inoltre, scavato il canale Malamocco-Marghera per allontanare dalla città di Venezia il percorso delle navi dirette al porto industriale, creando un nuovo terminale per il petrolio a sud, in prossimità della Bocca di Malamocco.

Questa seconda zona industriale sorse in gran parte su aree sottratte alla laguna mediante interramento o rialzo del piano campagna, con l’impiego di rifiuti e scarti delle lavorazioni industriali e di materiali provenienti dallo scavo dei canali. Essa accoglieva produzioni petrolchimiche, produzioni di refrattari e carpenteria di precisione, centrali elettriche, raffinerie di oli alimentari. Ai grandi impianti di raffinazione del petrolio venne poi collegato l’oleodotto per Mantova.

L’occupazione nell’area aumentò rapidamente, e parallelamente crebbe la popolazione nelle località della terraferma veneziana afferenti la zona industriale: più di 100.000 unità nel periodo 1920-60: Mestre passò da 20.000 a 90.000 abitanti, Marghera da 5.000 a 25.000, i piccoli borghi di Favaro, Chirignago e Zelarino arrivarono ad essere comunità di 10-15.000 abitanti.

All’inizio degli anni ‘60 nell’area si contavano 200 aziende, con circa 35.000 addetti e oltre 7 milioni di tonnellate/anno di merci in transito per il porto industriale.

Lo scenario futuro era quello di una crescente espansione del volume di traffico portuale e delle attività industriali: principalmente la chimica (in particolare la petrolchimica), la metallurgia non ferrosa, l’acciaieria, l’attività costruttiva e ceramica.

Una “terza zona industriale”

In quegli stessi anni si approntarono i piani per la realizzazione di una “terza zona industriale”, a sud della Penisola della Chimica, di superficie doppia di quella impiegata fino ad allora dagli stabilimenti.

Tale disposizione non realizzata concretamente - se non per alcuni insediamenti in località Fusina - a causa della ridotta espansione industriale negli anni ‘60 e ‘70 (nonostante l’aumento del traffico marittimo fino a 24 milioni di tonnellate di merci nel 1974). Questa inversione di tendenza si consolidò nei primi anni ‘80 e fu seguita da un lungo periodo di relativa stagnazione.

La deindustrializzazione

Negli ultimi decenni, pur essendo mutati gli assetti societari delle grandi imprese presenti a Marghera, hanno proseguito la propria attività le società legate alla lavorazione del petrolio e dei suoi derivati, dei fertilizzanti, dei metalli e dei prodotti chimici.

Tuttavia, le modifiche degli assetti produttivi, con le conseguenti chiusure e/o ristrutturazioni aziendali, variazioni di processi industriali e la contrazione delle attività di ricerca e sviluppo, hanno comportato un calo occupazionale sostanziale.

 

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Indagine conoscitiva sulle attività economiche presenti nell'Area Industriale - A cura di Comune di Venezia, Autorità Portuale di Venezia, Ente Zona Industriale